La musa di Alessandria (Potenza, Edizioni Hermaion, 2021) di Gianrocco Guerriero è innanzitutto un romanzo d’amore con un epilogo a sorpresa che nell’ultimo capitolo ribalta tutta l’impostazione narrativa, rendendo finalmente chiari e motivati certi indizi sparsi qua e là nei capitoli conclusivi dei primi quattro libri (o parti). I protagonisti sono Roberta Bellini (romana ventinovenne dottoranda in Filosofia) e Ahmed alias Ashraf Mozaf (un egiziano esperto di filosofia e giornalista). Per arricchire la tesi su Ipazia (famosa filosofa, astronoma e matematica vissuta ad Alessandria dal 350/370 al 415 d.C.) con nuovi particolari originali sulle cause della sua uccisione, Roberta si reca in Egitto dove l’amico, conosciuto tramite sms ed e-mail, le dovrebbe svelare la vera causa della morte. Giunta al Cairo, per una serie di inconvenienti è costretta a girovagare, assieme al compagno, per diverse località, egiziane e libiche, prima di arrivare ad Alessandria, la sua meta.
Gli avvenimenti, inventati, e i personaggi, ben costruiti psicologicamente, sono mossi come pedine dalla mano abile dell’Autore su un fondo geograficamente e storicamente identificabile. I luoghi principali sono: Il Cairo, Siwa, Giarabub, Tobruq, Marsa Susa, Bengasi, Alessandria e, infine, Roma. L’anno in cui si svolgerebbero i fatti è il 2010.
Anche in questo romanzo, come in quello precedente (La strada che spezza il deserto, Milano, Pedrazzi editore, 2019), Guerriero conferma di essere un narratore nato, capace di creare personaggi con poche pennellate, cesellare ambienti e riversare sulla pagina una quantità di contenuti culturali
che danno spessore a tutta l’operazione. Subito riconoscibile è il suo stile, basato su un linguaggio preciso, corposo, privo di inutili fronzoli. Rapido è il periodare, grazie all’uso frequente della paratassi, che taglia, spezza, chiude un concetto e ne apre subito un altro o ne aggiunge un’altra sfumatura.
L’opera è ricca e complessa, sia come struttura sia come materiali scelti e impastati. Per questo dovrebbe piacere a lettori di svariate sensibilità e formazioni. Io prediligo soprattutto le parti in cui si verifica uno scarto nel linguaggio, cosa che avviene quando, abbandonando un attimo il passo regolare, esso rompe ogni freno e se ne va veloce, come, per esempio, nella mirabile descrizione,
abbondante di virgole e di ripetizioni, incalzante e vorticosa fino alla sua acme, del primo atto sessuale (p. 248 s.). Ammiro anche certe rappresentazioni in cui le parole, una volta spogliate del loro significato comune e banale, vengono rivestite di valori simbolici. Interessante appare pure
l’andamento disteso e più discorsivo della prosa quando si devono spiegare concetti o problematiche, come nel caso delle otto lettere (quattro scritte da Sinesio a Ipazia e altrettante da Ipazia a Sinesio, pp. 276-287, 298-310) o quando si spiega qual è la vera ignoranza (p. 35) o il diverso concetto di democrazia (p. 255). Tuttavia, quanti hanno gusti diversi, più raffinati, potranno benissimo deliziarsi nel leggere le parti descrittive ed esplicative di tematiche filosofiche e sociologiche (Arthur Schopenhauer, Ammonio Sacca, Plotino e il neoplatonismo dei secoli IV e V, Ipazia, Alfred Whitehead, Ludwig Wittgenstein, Michel Foucault, Julien Greimas e i suoi quadrati semiotici, Ghassan ibn Sinā), fisiche e matematiche (Niels Bohr, Werner Karl Heisenberg e la meccanica quantistica, William Rowan Hamilton e i quaternioni, i sistemi di conduttori e dielettrici), letterarie (Paul Valéry, Thomas Mann, Umberto Eco).